Milano, 21 aprile 2015 – Gli effetti del progressivo invecchiamento della popolazione e delle recenti riforme al sistema pensionistico hanno reso incerto l’orizzonte di molti lavoratori che oggi appaiono preoccupati per il futuro. La maggioranza dei lavoratori italiani – il 57% – crede che i bambini di oggi vivranno fino a 100 anni e ben il 91% (più di tutti gli altri al mondo) si aspetta di dover lavorare più a lungo rispetto alla soglia attuale dell’età pensionabile. Ma non a tutti è chiaro fino a quando: in media i dipendenti prevedono ottimisticamente di ritirarsi dal lavoro a 66,5 anni, una soglia inferiore a quelle previste dal graduale aumento dell’età pensionistica. E vivere più a lungo significa anche un più lungo periodo di pensionamento: gli italiani sono pronti a mettere da parte l’11% del reddito attuale per affrontare la vecchiaia.
In questo scenario, si diffonde la consapevolezza sulla necessità di prepararsi ad una maggiore longevità professionale: il 96% dei lavoratori crede nella formazione permanente, il 91% pensa di rinfrescare capacità e competenze ogni cinque anni per migliorare l’occupabilità. Anche se per sette dipendenti su dieci ritengono gli over 55 hanno maggiore difficoltà nell’acquisire nuove competenze rispetto ai più giovani e per quattro su dieci i lavoratori maturi sono meno produttivi rispetto a quelli con qualche anno di meno. Mentre è di buon auspicio il fatto che 55% dei datori di lavoro italiani, più della media globale, abbia avviato politiche attive per attirare e trattenere lavoratori maturi in azienda.
E’ un quadro a luci e ombre quello che emerge dal Randstad Workmonitor, l’indagine sul mondo del lavoro realizzata in 34 Paesi nel mondo da Randstad, secondo player al mondo nei servizi per le risorse umane, che nel primo trimestre 2015 è stata dedicato a “Crescere fino a 100 anni: l’impatto sulle pensioni e l’occupabilità, i pregiudizi sui lavoratori anziani”. Uno studio la cui popolazione di riferimento (per cui sono state realizzate oltre 400 interviste in Italia) è costituita da persone con età compresa tra i 18 e i 65 anni che lavorano per almeno 24 ore alla settimana e che percepiscono un compenso economico per questa attività.
“L’invecchiamento della popolazione è una realtà che pone lavoratori e aziende di fronti ad importanti sfide per il prossimo futuro – commenta Marco Ceresa, Amministratore Delegato di Randstad Italia -. Sono cambiate le fasi della vita, mentre le soglie anagrafiche di entrata e uscita dal mondo del lavoro slittano progressivamente sempre più avanti. Le imprese sono chiamate a progettare interventi per favorire l’invecchiamento attivo, garantendo una buona occupazione ai lavoratori in età adulta, valorizzandone capacità e competenze, offrendo una qualità migliore della vita lavorativa. Ma anche i lavoratori sono tenuti a mantenere la propria occupabilità anche in età matura, attraverso la formazione e l’aggiornamento costante”.
La pensione che si allontana – Il 91% dei lavoratori dipendenti italiani si aspetta di lavorare più a lungo rispetto all’attuale età pensionabile. Una percentuale che colloca l’Italia al primo posto nel ranking dei 34 paesi coinvolti nel Workmonitor ed abbondantemente sopra la media globale del 77%. La maggioranza dei lavoratori (il 45%) si aspetta di ritirarsi dal lavoro tra 65 e 70 anni, il 37% tra 60 e 65 anni, il 12% tra 70 e 75 anni, il 6% tra 75 e 80 anni. In media gli italiani prevedono di andare in pensione a 66,5 anni, ma l’età prevista sale fino a 68 anni fra coloro che oggi hanno fino a 44 anni e intorno ai 65 fra coloro che superano questa età. La maggior parte dei dipendenti italiani (il 45% del totale) si dice pronto a risparmiare il 10% del reddito attuale per la sua pensione. Il 34% è disposto a risparmiare una quota minore (il 5%), il 31% una quota superiore (il 20% o il 40%). L’Italia appare in linea con la media globale (11,7%), da cui si distingue particolarmente l’Asia, dove la media è parti a 14,8%. Anche se la riserva economica messa da parte non sembra rassicurante per affrontare il futuro, il 69% dei lavoratori (più della media globale) crede che il risparmio per la pensione sia sotto la sua responsabilità e non del datore di lavoro.
La longevità professionale – Dal Randstad Workmonitor emerge una diffusa consapevolezza tra i lavoratori italiani della necessità di tenere aggiornate le competenze anche in età adulta, di fronte alle esigenze di un mercato del lavoro sempre più dinamico. Anche se secondo la maggioranza dei lavoratori l’avanzare dell’età implica un indebolimento delle capacità intellettuali con cui è necessario far fronte. Il 46% degli italiani (più della media globale, pari al 37%) ritiene che i lavoratori over 55 siano meno produttivi rispetto a quelli più giovani. Il 40% pensa che i lavoratori maturi siano assenti per malattia più spesso rispetto ai colleghi con meno anni sulle spalle (la media globale è pari al 36%). E oltre metà (il 51% contro una media globale del 48%) concorda sull’idea che il lavoratore oltre i 55 anni dovrebbe lavorare meno ore di un collega giovane. Ma, soprattutto, il 70% dei lavoratori crede sia più difficile per gli over 55 acquisire nuove competenze, contro una media globale del 68%.
A dispetto di questi dati apparentemente scoraggianti, il 96% dei lavoratori crede nella formazione permanente, indipendentemente dall’età. E il 91% sostiene la necessità di rinfrescare capacità e competenze ogni cinque anni per migliorare l’occupabilità (molto più della media globale, 82%). Anche se – un po’ in contraddizione – l’85% sostiene anche che capacità e competenze acquisite dureranno un’intera carriera. Due terzi dei dipendenti italiani, il 66%, pensano che l’occupabilità sia un obiettivo sotto la loro responsabilità, non del datore di lavoro (media globale pari al 75%). E il 55% – una quota ben superiore alla media globale del 43%, che pone l’Italia al quinto posto tra i Paesi oggetti di indagine – riconosce che il datore di lavoro ha già avviato politiche attive per attirare e trattenere le persone over 55 in azienda.
“La gestione delle risorse più mature è un tema sempre più urgente nelle aziende italiane – spiega Marco Ceresa -. è necessario però aprire la strada ad una nuova cultura dell’invecchiamento attivo che preveda in un approccio unitario formazione continua, modifiche dell’orario di lavoro, cura della salute e del benessere delle persone, innovazione organizzativa, ricollocazione in mansioni più adatte all’età e all’esperienza, formule flessibili di transizione verso la pensione. In questo modo i lavoratori maturi possono costituire una risorsa e non un peso per le organizzazioni, accompagnando con successo la longevità professionale con cui tutti dobbiamo fare i conti nel prossimo futuro”.
Indici trimestrali – Dagli indici trimestrali del Workmonitor emergono segnali di ottimismo per il mercato del lavoro italiano. Nel primo trimestre 2015 cresce fino al 51% la fiducia degli italiani di trovare un lavoro assimilabile all’attuale (+6% rispetto al trimestre precedente) e tocca il 48% la fiducia di di trovare un lavoro diverso (+8%). Dati che appaiono ancora più favorevoli se si considera che sono in particolare le donne ed i giovanissimi in controtendenza (+10% fra le donne l’aspettativa di un lavoro uguale, +12% fra i giovanissimi quella di un lavoro diverso). Cresce l’incidenza della ricerca attiva di un lavoro che interessa oggi il 14% del campione, con un incremento del 5% rispetto a tre mesi fa. Sono ancora le donne (+10%) insieme ai lavoratori più adulti (+8% fra gli oltre 55 anni) a sostenere maggiormente questa tendenza. Il timore di perdere il lavoro è stabile al 10% ma, anche in questo caso sono le donne ed i giovanissimi i segmenti più a rischio (rispettivamente +5% e +16% rispetto a tre mesi fa). Il dato negativo viene dalla conferma dell’arretramento nelle aspirazioni di sviluppo professionale: oggi il 27% dei lavoratori italiani non si dice per niente concentrato su questo obiettivo, un’incidenza mai registrata dal 2010 ad oggi.