Alla luce delle difficoltà economiche riscontrate negli ultimi anni e delle incertezze che comunque si evidenziano in maniera chiara anche per gli anni a venire e che contraddistinguono le economie dei Paesi considerati ormai «maturi» – soprattutto della vecchia Europa – anche le aziende italiane, da qualche tempo, si stanno focalizzando nella individuazione di figure professionali con competenze e qualità eccellenti da inserire in territori che, di contro, offrono opportunità evidenti sia in ambito Operations (i cosiddetti «best cost country» della regione dell’Asia-Pacific o all’interno di grandi progetti ingegneristici in Paesi dell’ex blocco sovietico come Kazakistan, Azerbaijan) oppure come driver nell’ambito di un reale progetto di sviluppo commerciale global in un mercato consumer potenzialmente enorme (India, Cina, ma anche Filippine, Indonesia, ecc.).
I tempi sono cambiati – E’ chiaro che oggi parliamo di «progetti estero» estremamente diversi rispetto al passato: generalmente sono location poco attraenti (non più Londra, Parigi e New York e, comunque con un livello di «qualità» della vita sociale estremamente relativo) ed è fondamentale la necessità di individuare profili professionali cambiando radicalmente la logica del vecchio «expatriate» (estremamente costosa e poco efficace, che obbligava, tra l’altro, a ragionare anche su posizioni di rientro), di reali «International executive manager» disponibili ad affrontare progetti senza limiti temporali, integrandosi col territorio e adattandosi alle differenti culture, tradizioni, ecc., per cercare di trarne il massimo vantaggio competitivo possibile.
Il nuovo International Manager è disponibile a vivere la propria carriera professionale in una logica realmente «worldwide» valutando, eventualmente, di volta in volta, le potenzialità e le caratteristiche dei progetti proposti. Il concetto di «nuova location» impone la necessità di coinvolgere la propria famiglia, tenendo conto che, oggi forse più di ieri (almeno in Italia), il valore del parere familiare su una opportunità professionale ha un peso determinante nella scelta del manager.
I benefits per la famiglia – Di fronte a tale evidenza (se una moglie/un marito è contrario a uno spostamento difficilmente il manager deciderà di accettare a prescindere dalla opportunità professionale) anche le aziende stanno cercando di organizzarsi creando, oltreché un piano di carriera stimolante, una struttura di salary package che oltre a comprendere una parte di Gross Salary e variable attraenti, contiene anche e soprattutto un paniere di Flexible Benefits che vanno a «coprire» le necessità/attese familiari: una casa importante (a Singapore e Hong Kong il costo di un affitto mensile può arrivare anche a 8/10mila euro al mese), la scuola internazionale per i figli, l’iscrizione a un club esclusivo per la moglie, car allowance and parking, voli di rientro in business class per la famiglia almeno per le festività importanti (Natale, Pasqua, ecc.).
Di conseguenza, rispetto al passato, il peso economico dei benefits, oggi, può arrivare a rappresentare anche il 40/50% dell’intero salary package rispetto al 10/20% del passato. E proprio in questo senso, credo, si giochi una sfida importante nei prossimi tempi: è chiaro che culturalmente dobbiamo sempre più considerare global l’attività di un vero «International Manager» e, quindi, il peso delle potenzialità e delle opportunità di un progetto professionale dovrebbe prevalere rispetto all’appealing di una location. Ma, per essere realmente concreti, un’azienda che riesca a innovare il suo paniere di fringe benefits e a cogliere e risolvere, nella sua politica di attrazione, le reali esigenze anche di famiglie «impegnative» sicuramente potrà godere di un forte vantaggio competitivo sul mercato degli executive.
di Piero Silvaggio, Presidente Horton International Italy