Intervista a Rosario Rasizza, presidente di Assosomm, la seconda associazione per numero di iscritti di Agenzie per il lavoro in Italia e amministratore delegato di Openjobmetis SpA, una delle principali Agenzie per il lavoro italiane, sulla riforma del lavoro del Governo Renzi. L’impianto del Jobs Act, a metà del suo percorso, per Rasizza ha luci ed ombre. Ecco perché.
Il Jobs Act è a metà del suo percorso. Sono entrati in vigore i decreti attuativi sul contratto a tutele crescenti e il riordino degli ammortizzatori sociali. Nello specifico, si rende il contratto a tempo indeterminato più flessibile sulla parte delle regole in uscita e molto conveniente dal punto di vista dei costi con la totale decontribuzione per 3 anni come stabilito dalla Legge di Stabilità 2015. C’è da attendersi un boom di contratti a tutele crescenti a scapito di altre forme contrattuali del lavoro dipendente?
E’ ancora un po’ presto per valutare gli effetti reali del contratto a tutele crescenti. Sono convinto che chi doveva fare delle assunzioni le ha fatte a prescindere dal nuovo istituto contrattuale e a anche a prescindere dagli sgravi contributivi previsti dalla legge di stabilità 2015. In altre parole, le avrebbe fatte anche con le vecchie regole e senza gli incentivi. Non ho mai creduto al nesso tra cambiamento delle regole del lavoro e aumento dell’occupazione. Ciò che crea occupazione è l’aumento delle commesse delle aziende. Punto. Esiste, invece, un legame tra questi incentivi e l’incremento di alcune formule contrattuali a discapito di altre. In questo senso, il contratto a tutele crescenti potrà crescere nei prossimi anni ma, a mio avviso, si tratterebbe comunque di una crescita “dopata” dallo sgravio contributivo. Cosa succederà di questi lavoratori dopo 3 anni quando non ci sarà più un risparmio di 8mila euro l’anno? Queste assunzioni si basano principalmente sul presupposto dell’incentivo e non della reale volontà dell’impresa di assumere a tempo indeterminato. Ai lavoratori bisogna dire la verità: “ti assumo a tempo indeterminato perché credo in te e l’azienda ha un futuro di crescita, e non solo per gli incentivi”. Le conseguenze negative fra tre anni potrebbero essere nefaste. Se il lavoratore in virtù del contratto a tutele crescenti si rivolgerà in banca per contrarre un mutuo o un prestito e dopo tre anni sarà senza lavoro perché saranno finiti gli incentivi, si ritroverà in più con i debiti da pagare. E’ un “mercanteggiare” il futuro delle persone che alla lunga non funziona.
Il Governo ha approvato gli altri due decreti delegati tra cui quello sul riordino dei contratti di lavoro che in questa fase segue l’iter legislativo di consultazione prima dell’approvazione definitiva. Rispetto al giro di vite su contratti di lavoro flessibili, con le limitazioni al contratto a progetto e la cancellazione delle associazioni in partecipazione e il job sharing, siamo di fronte una giusta e utile decisione per favorire la flessibilità positiva oppure si è fatta anche un po’ di propaganda?
Se manterranno tutto quello che hanno detto per me si tratta di una soluzione perfetta. Oggi molte aziende per cercare di sopravvivere utilizzano forma spurie di flessibilità per regolare alcuni rapporti di lavoro. Queste formule contrattuali come i contratti a progetto, di collaborazione o le partite Iva vanno benissimo nei casi reali e legittimi di applicazione e che attengono a rapporti di lavoro tipicamente autonomi. Il problema nasce quando sono applicati in modo fraudolento per regolare rapporti di lavoro sostanzialmente da dipendente. Quindi, è corretto limitare il più possibile gli abusi e ricondurre la sana flessibilità verso forme contrattuali legittime e tutelanti come la somministrazione. Se io fossi il legislatore, farei di più e direi che ci sono solo tre possibilità contrattuali: il contratto a tempo indeterminato o determinato, la somministrazione, e per gli autonomi la partita Iva o il contratto a progetto ma solo per alcune specifiche mansioni. Le regole devono essere chiare e semplici se vogliamo farle rispettare, altrimenti alimentiamo solo il contenzioso e le parcelle degli avvocati. La flessibilità del lavoro dipendente dovrebbe essere gestita solo con i contratti a tempo determinato (per periodi più lunghi) e con la somministrazione. Si tratta di forme contrattuali che coniugano la flessibilità con le tutele e la sicurezza.
Politiche attive e contratto di ricollocazione. Le aspettative sul nuovo modello di politiche attive che ruotano intorno al contratto di ricollocazione e che vede un ruolo attivo delle Agenzie per il lavoro, sembrano, in parte deluse. Il nodo è il riconoscimento economico garantito solo all’effettiva ricollocazione della persona. Perché non vi convince?
A me, invece, convince questa logica. Mi convince prima di tutto l’introduzione delle politiche attive mentre in passato si parlava solo di politiche passive. Si comincia a fare sul serio da questo punto di vista. Anche noi come Agenzie per il lavoro dobbiamo fare di tutto per raggiungere il risultato della collocazione di chi ha perso il lavoro. In questo caso trovo giusto il principio della premialità: ossia, solo se riesco come agenzia a ricollocare effettivamente una persona lo Stato mi riconosce un compenso economico. E non condivido la posizione di coloro che ritengono insufficiente e tendenzialmente limitante un contributo economico solo per l’attività di ricollocazione e non esteso anche all’attività propedeutica di bilancio delle competenze, motivazione e riqualificazione finalizzate alla ricollocazione del disoccupato. Il rischio che vedo in un simile scenario è un’attenzione delle Agenzie principalmente su questa parte di attività, meno complicata, a scapito dell’attività di ricollocazione. Un rischio opposto, quindi, rispetto a coloro che paventano limitazione allo strumento del contratto di ricollocazione se il riconoscimento economico è garantito solo a risultato ottenuto. Questa è la posizione di Assosomm.
Le novità nella somministrazione. La principale riguarda la somministrazione a tempo indeterminato. Sono state eliminate le causali per ricorrere a questo istituto e indicato, nel contempo un limite quantitativo. Anche per la somministrazione si punta ad incentivare il tempo indeterminato?
Accolgo positivamente l’aver tolto alcune limitazioni al ricorso alla somministrazione a tempo indeterminato, il cosiddetto Staff Leasing. L’eliminazione delle causali anche per questa forma contrattuale segue la giusta logica inaugurata dal decreto Poletti che ha cancellato le causali per la somministrazione ordinaria e per i contratti a tempo determinato. Ciò detto, l’ultima parola spetta sempre alle aziende che devono stare sul mercato e che seguono gli andamenti ciclici della domanda. Di conseguenza, penso che per alcune figure professionali e mansioni il ricorso alla somministrazione a tempo indeterminato potrà crescere e soprattutto anche in questo caso l’a-causalità limiterà il potenziale conflittuale insito nelle vecchi regole e il “business degli avvocati”.
C’è qualcosa che avrebbe voluto vedere nel Job Act e che non è stato previsto?
Una cosa semplice. Ci sarebbe piaciuto che il Governo ci avesse ascoltati nella fase di ideazione e elaborazione dei capitoli del Jobs Act. Ci sarebbe piaciuto semplicemente essere ascoltati perché avremmo potuto portare l’esperienza quotidiana di chi ogni giorno opera concretamente nel mercato del lavoro e avremmo potuto dare qualche suggerimento concreto. Il mio rammarico in questo caso non è sulle questioni di merito ma soprattutto di metodo. Noi siamo trasversali a tutti i settori produttivi e a tutti i contratti nazionali. Siamo agenzie autorizzate dallo Stato e quindi una sorta di “longa manus” verso il territorio con evidenti conoscenze e capacità. Abbiamo il polso della situazione e avremmo potuto indicare una lista di suggerimenti utili e concreti, nel rispetto ovvio dei ruoli e delle funzioni tra chi deve governare e chi può dare dei suggerimenti sulla base delle proprie competenze e esperienze. Questo è il nostro rammarico più grande.