Aumento del ricorso al contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti e, tra le novità introdotte dal Jobs Act, voto positivo anche per la previsione del contratto di ricollocazione per tutti i disoccupati e l’a-causalità dei contratti di somministrazione a tempo determinato. Forte diminuzione, invece, nell’utilizzo futuro dei contratti a progetto. Queste, in sintesi, le principali evidenze che emergono dall’ultima rilevazione dell’Osservatorio Permanente sulla Riforma del Mercato del Lavoro, promosso da Gi Group Academy, fondazione di Gi Group, prima multinazionale italiana del lavoro.
La survey è stata condotta su un totale di 419 aziende con un focus particolare su 243 aziende al di sopra dei 15 dipendenti (le più impattate dal Jobs Act) che occupano in totale quasi 300.000 lavoratori. Di seguito i risultati:
- a fronte delle novità normative introdotte, la maggior parte delle aziende (52,5%) aumenterà il ricorso al contratto a tempo indeterminato (a tutele crescenti) nel 2015 ,mentre per tutte le altre forme prevale la scelta di mantenere invariato il ricorso ai diversi contratti. Ben il 50% ha dichiarato che diminuirà o non utilizzerà più i contratti a progetto.
- La maggior parte delle imprese intervistate (53,9%) ritiene che il Jobs Act favorirà un incremento dell’occupazione.
- Pagella del Jobs Act: le aziende promuovono il Jobs Act, con un voto complessivo di 6,2 punti in una scala da 0 a 10. In particolare, ottengono la valutazione complessiva più alta i seguenti aspetti:
- a-causalità del contratto di somministrazione a tempo determinato: voto medio 6,7;
- contratto a tutele crescenti: voto medio 6,6;
- previsione del contratto di ricollocazione per tutti i disoccupati: voto medio 6,5.
- Infine, il 64,2% delle aziende intervistate sarebbe disposto ad integrare il voucher pubblico di ricollocazione per consentire alle agenzie specializzate di offrire al personale in uscita dalle aziende un servizio di qualità pari a quello ottenibile oggi con un contratto di outplacement.
“Da questi risultati appare evidente come il Jobs Act ottenga una promozione complessiva – commenta Stefano Colli-Lanzi, CEO di Gi Group -. Viene confermato il ritorno alla centralità del contratto a tempo indeterminato. Inoltre sembra essere in atto un cambiamento quasi epocale: le aziende si stanno muovendo per virare in modo deciso verso la buona flessibilità a discapito di contratti precarizzanti. Mi riferisco al fatto che 1 azienda su 2 ha dichiarato che non userà più o diminuirà i contratti a progetto. Se a questo dato affianchiamo la promozione (6,7) della a-causalità della somministrazione, ci rendiamo conto che è in atto una precisa presa di coscienza sul fatto che la flessibilità debba e possa essere gestita quasi in toto dalle agenzie per il lavoro. Non ci resta che augurarci – continua Colli-Lanzi – che i provvedimenti ancora in via di definizione completino il quadro in modo coerente ed organico. Sarà fondamentale procedere con risolutezza a rimuovere gli ultimi vincoli normativi riguardanti la flessibilità gestita tramite agenzia, incentivandone così la centralità: da non dimenticare che quanto più le Agenzie saranno al centro della gestione della flessibilità, tanto più potranno svolgere il compito di ricollocatori attivi e, quindi, rafforzare ulteriormente il livello di sicurezza dei lavoratori. Sarà importante, inoltre, portare a compimento la transizione da politiche passive a politiche attive, attraverso l’implementazione del contratto di ricollocazione e dei servizi al lavoro. Se anche questi ultimi tasselli andranno nel senso auspicato, allora davvero potremo parlare di un mercato del lavoro inclusivo e moderno”.
Al fine di verificare che il giudizio positivo sul Jobs Act non fosse influenzato da misure “esterne” al provvedimento, come ad esempio l’esonero contributivo previsto dalla Legge di Stabilità, Gi Group ha provveduto a porre alcune delle domande della survey anche a 176 aziende al di sotto dei 15 dipendenti. Un cluster non toccato dal Jobs Act, ma che viceversa può godere dell’esonero contributivo come tutte le aziende. Il 26% di questo campione aumenterà i contratti a tempo indeterminato, contro una percentuale doppia delle aziende con più di 15 dipendenti. Le piccole aziende ritengono inoltre (73,9%) che il Jobs Act non inciderà sull’occupazione, a differenza delle aziende con oltre 15 dipendenti, più ottimiste (53,9%) sul fatto che il Jobs Act potrà creare posti di lavoro.
“Il risultato più “tiepido” – conclude Colli-Lanzi – emerso dalle aziende con meno di 15 addetti, non impattate dal Jobs Act ma che possono godere dell’esonero contributivo come tutte le aziende, ci conferma che il giudizio positivo espresso dalle aziende con più di 15 dipendenti è relativo alla bontà dell’impianto complessivo del Jobs Act e non influenzato da altri fattori esterni, come incentivi economici all’assunzione che, per quanto importanti, hanno di per sé una natura temporanea e non organica”.
Per tutti coloro che sono interessati ad approfondire l’iniziativa: www.osservatoriolavoro.it.