LabItalia – “Dal nostro studio oltre il 25% dei giovani al primo impiego, dunque almeno 1 su 4, ha avuto un contratto di cocopro o cococo. Dunque, questa formula ha funzionato molto bene in ingresso nel mercato del lavoro. Eliminare del tutto queste tipologie potrebbe portare a un ulteriore irrigidimento del nostro mercato”. Lo dice a Labitalia Michele Pasqualotto, responsabile di Datagiovani.
Per Pasqualotto, sostituire le cocopro o le cococo con altre tipologie, quali ad esempio il contratto a tutele crescenti, “è un’operazione possibile, ma il tema principale rimane quello del costo del lavoro”. “Se rimangono i vantaggi contributivi previsti per ora per il nuovo contratto, la convenienza lo farà diventare un’alternativa valida. Altrimenti no”, avverte. In Italia, il 95% delle imprese -ricorda Pasqualotto- ha meno di 40 addetti e per queste aziende il costo di un lavoratore a tempo indeterminato è un costo altissimo”.
Rimane il fatto che in Italia un contratto conveniente per l’impresa da usare per l’ingresso al lavoro c’è e si chiama apprendistato. “Ma è un contratto che non è mai decollato -spiega Pasqualotto- a causa delle grosse limitazioni burocratiche date dalle commistioni con le norme regionali sulla formazione. Insomma, le collaborazioni a progetto e le loro ‘gemelle’ cocopro “hanno funzionato bene in ingresso -ribadisce Pasqualotto- anche qualche abuso naturalmente c’è stato”. “E la conferma che hanno funzionato -dice- la si ha dal fatto che con la riforma Fornero che di fatto ha limitato i cocopro, non si è avuto un aumento delle altre forme contrattuali”.
E prima di buttare via uno strumento che ha funzionato, spiega l’esperto, “bisogna essere consapevoli di quello che si fa”. “Io credo che prima di tagliare del tutto le cocopro -conclude- sarebbe bene introdurre un periodo di transizione in cui possano coesistere sul mercato le varie tipologie”.