Prima di procedere nella scrittura (e voi nella lettura) del libro di Paolo Iacci, “Il teorema del caffè”, come da buoni italiani prendiamoci un caffè, e vi assicuro che non è una cosa facile e scontata; sul caffè si scatena l’inventiva più sfrenata. Viene servito in almeno un centinaio di varianti: un caffè normale, lungo, ristretto, macchiato, ecc. (sul libro ci sono ben tre pagine dedicate a queste varianti).
Il titolo del libro è “Il teorema del caffè – il paradosso che regola l’impresa”. Inizia facendo una fotografia dell’Italia, degli italiani, dei loro bisogni (alcuni spesso non proprio primari) e delle loro richieste in tempo di crisi e scarsa disponibilità economica: “siamo tutti più poveri ma con richieste e bisogni sempre più da ricchi”.
Il teorema del caffè potrebbe, quindi, essere così sintetizzato: “In una società sempre più complessa, anche i bisogni e le attese di ogni singola persona tendono naturalmente a divenire sempre più ricercati, seppur all’interno delle singole disponibilità di ciascuno. In una situazione di crisi il manifestarsi di richieste di prodotti/servizi più originali, innovativi e individualizzati è indipendente da un’eventuale mancanza di risorse. La necessità di soddisfare tali bisogni risponde a una più complessiva e autonoma necessità di benessere, individuale o collettivo. Inoltre, le aspettative divengono sempre più alte, anche per effetto della concorrenza stessa, che, seppur oberata da costi crescenti, pur di sopravvivere, incita verso innovazioni sempre più spinte”.
Poi l’attenzione si sposta alle imprese, alle organizzazioni che operano nella gestione delle “risorse umane”, delle Persone. Un tempo, non molti anni fa, le aziende avevano dei piani pluriennali e riuscivano a garantire ai loro collaboratori una continuità professionale, in alcuni casi per tutta l’età lavorativa fino alla pensione, in cambio ricevevano la “fedeltà professionale”…Oggi come sappiamo non è più così … Assistiamo al “dominio incontrastato di un presente senza futuro”. A causa di questa instabilità le imprese non sono più credibili.
“Ora e nel prossimo futuro tutte le persone, e quindi i capi stessi, hanno davanti a sé la prospettiva di cambiare azienda un certo numero di volte nell’arco della propria vita lavorativa, auto-gestendo, per quanto sia possibile, un percorso di carriera finalizzato allo sviluppo del proprio “capitale” professionale…La precarietà del posto di lavoro e la pressione cui sono sottoposti tutti i membri della catena gerarchica inducono atteggiamenti di deresponsabilizzaione. Infatti, oggi nelle imprese si respira un clima pessimo e la catena gerarchica in molti casi è bloccata. Nelle aziende non decide più nessuno. Si ha paura di sbagliare, ma soprattutto si ha paura di poter essere incolpati di qualcosa. Non sbagliare è diventato assai più importante che fare la cosa giusta…”
Occorre un cambio radicale di attenzione al livello di Persone, organizzazioni e Nazione, partendo dal concetto di “Pensiero resiliente”. “Resilienza è un termine derivato dalla scienza dei materiali e indica la proprietà, che alcuni materiali hanno, di resistere a forze impulsive , ovvero la capacità di resistere a forze impulsive, ovvero la capacità di resistere ad urti improvvisi senza spezzarsi e di riacquistare la forma originaria dopo stati sottoposti a schiacciamento e deformazione. In psicologia connota la capacità delle persone di far fronte a eventi stressanti o traumatici e di riorganizzare in maniera positiva la propria vita dinanzi alle difficoltà. Le Persone con un alto livello di resilienza riescono a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete importanti… Il Pensiero resiliente richiede l’umiltà di voler crescere, la capacità di non prendersi troppo sul serio e di voler continuare a stupirsi”.
“Si è persa la dimensione della bellezza nel lavoro e, con essa, il suo significato intrinseco. La percezione collettiva è che la vera vita comici soltanto dopo l’orario di lavoro… Occorre una leadership che rimetta al primo posto non solo la gestione del contingente, ma anche la necessità improcastinabile del valore del lavoro e della visione della meta verso cui deve tendere il team aziendale e il senso ultimo del lavoro di ognuno dei suoi membri”.
Un libro, una profonda riflessione sul tempo di crisi che stiamo vivendo, ma anche e soprattutto una traccia, un sentiero che ci porterà (ci auguriamo) verso un futuro creativo, innovativo e responsabile. Utopia? Buona lettura
a cura di Dante D’Alfonso – blog IL FARO