Con la sentenza n. 25674 del 04.12.2014 la Corte di Cassazione è di recente intervenuta, ancora una volta, in tema di licenziamento disciplinare per giusta causa. In estrema sintesi, il caso di specie riguarda una lavoratrice addetta alla cassa di un supermercato che, durante l’orario di lavoro, ometteva la registrazione della vendita di alcuni prodotti, appropriandosi indebitamente delle somme incassate dai clienti.
Tale condotta veniva accertata dalla Società sulla base di taluni controlli effettuati da un’agenzia investigativa appositamente incaricata dalla Società datrice di lavoro, insospettitasi per taluni ammanchi registrati nella contabilità aziendale. All’esito di tali accertamenti, la Società avviava un procedimento disciplinare nei confronti della dipendente, conclusosi con l’intimazione del licenziamento per giusta causa.
Il recesso datoriale veniva impugnato dalla lavoratrice e veniva dichiarato legittimo sia all’esito del giudizio di primo grado, che dalla Corte di Appello di Ancona, successivamente investita della questione in sede di impugnazione. Avverso la suddetta pronuncia di appello la lavoratrice proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo l’illegittimità del licenziamento per tre distinti motivi, quali: 1) la ritenuta illegittimità dei controlli effettuati dall’agenzia investigativa rispetto alla normativa dettata in materia di controlli a distanza del lavoratore (art. 3 e 4 Statuto dei Lavoratori); 2) la ritenuta tardività della contestazione disciplinare e, da ultimo 3) l’asserita sproporzionalità tra l’infrazione contestata e la sanzione espulsiva.
Tali motivi non sono stati ritenuti meritevoli di accoglimento da parte della Suprema Corte, che, con la pronuncia in commento, ha integralmente confermato la sentenza di appello. In particolare, con riferimento al primo motivo di ricorso, la Suprema Corte, richiamando un proprio consolidato orientamento, ha ribadito che devono considerarsi “leciti i controlli del datore di lavoro a mezzo di agenzia investigativa in ordine agli illeciti del lavoratore che non riguardino il mero inadempimento della prestazione, ma incidano sul patrimonio aziendale”, ritenendo, così, corretta la sentenza appellata nella parte in cui aveva accertato la validità e la legittimità delle fonti di prova investigative poste alla base della contestazione disciplinare e del successivo licenziamento.
Al riguardo la Suprema Corte ha tenuto a precisare che, nella fattispecie in esame, non era ravvisabile alcun contrasto con la normativa dettata dallo Statuto dei lavoratori in materia di controlli a distanza dei lavoratori, dal momento che, se è vero che tali disposizioni “delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con i principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell’attività lavorativa (art. 3)”,è altrettanto vero che le stesse “non precludono il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (quale nella specie, un’agenzia investigativa) diversi dalle guardie giurate per la tutela del patrimonio aziendale”,se tali controlli sono finalizzati ad accertare eventuali“atti illeciti del lavoratore, non riconducibili al mero inadempimento contrattuale”.
Quindi, ha ulteriormente precisato la Corte, “dette agenzie per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata dall’art. 3 dello Statuto direttamente al datore di lavoro ed ai suoi collaboratori, restando giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione”. Su tali premesse la Corte di Cassazione ha così escluso l’illegittimità dei controlli che erano stati effettuati dall’agenzia investigativa, poiché esclusivamente “diretti a verificare eventuali sottrazioni di cassa e quindi a salvaguardare il patrimonio aziendale”.
Respinto così il primo motivo di ricorso, la Corte ha poi rigettato anche gli ulteriori due motivi formulati dalla lavoratrice, avendo accertato sia la tempestività della contestazione disciplinare, sia la proporzionalità tra l’addebito ed il recesso datoriale, sul presupposto della gravità dei fatti contestati alla lavoratrice, tali da aver “comprova(to) adeguatamente il venir meno del vincolo fiduciario”, tenuto altresì conto delle “funzioni di particolare delicatezza e responsabilità” alla stessa assegnate in qualità di “addetta alla cassa”.
In conclusione, se da un lato la pronuncia in commento risulta coerente con il consolidato orientamento in materia di controlli a distanza del lavoratore e di utilizzabilità delle fonti di prova di origine investigativa, dall’altro, la stessa affronta un tema quanto mai attuale, tenuto conto della recente approvazione del c.d. Jobs Act che, per l’appunto, conferisce espressa delega al Governo per provvedere ad una “revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro”, la cui attuazione potrebbe risolvere gran parte delle questioni problematiche attualmente al vaglio della giurisprudenza.