In un non più nuovissimo TED speach, Steven Johnson ragionava intorno al tema dell’origine delle Idee innovative. L’innovazione, diceva, chiede la dimensione sociale come perimetro nel quale s’incrociano alcuni importantissimi driver di Innovazione. Il primo è la ridondanza. Nell’apparente disordine le idee individuali si muovono veloci ma anche grezze, e nello stesso tempo si “accoppiano” facendo convergere opportunità. Per supportare questa tesi, Steven ci porta in un viaggio che va dai caffé dell’ 800 ai laboratori di ricerca moderni, individuando come fattore di reale sviluppo innovativo lo scambio continuo piuttosto che la dimensione individuale di insight.
Gli altri driver sono la conversazione permanente, che è la leva generatrice di quegli accoppiamenti, e il “luogo”. I luoghi sono per Johnson spazi sociali, in cui network liquidi si aggregano in geometrie sempre diverse intorno a idee che meritano si diventare progetti di sviluppo.
DA IDEA A PROCESSO DI INNOVATION – I contesti di innovazione nelle organizzazioni non assomiglino quasi per niente allo scenario che dipinge Johnson. Sono meno affascinanti, ma sono almeno più efficaci? In azienda, quello che più ci preme è individuare un modello, un processo che sia capace di governare tutto il cammino dell’idea verso un “prototipo” implementabile. La domanda che sottende all’analisi di efficacia dei processi d’innovazione non è tanto se questi producano dei risultati, ma piuttosto se quei risultati siano il massimo grado d‘innovazione possibile per quell’organizzazione.
I modelli tradizionali d’innovazione sia incrementale sia breakthrough, si possono ricondurre a due filoni: il “processo lineare”, fatto di stadi ben precisi e consecutivi (ricerca, sviluppo, progettazione e realizzazione) e il “processo a catena”, che inserisce nel processo lineare il feedback che viene dalle interazioni con diversi stakeholder. Ciò che accomuna questi due modelli è la consequenzialità fra le varie fasi che finalizzano l’idea di base passandola dentro una sorta di imbuto (funnel) che ottimizza sempre più sforzi e risorse.
OPEN INNOVATION MODEL – L’open innovation model ha aperto a uno scenario nuovo anche se, per certi versi, intuitivo. Essosi fonda su due sostanziali elementi: l’amplificazione degli input che immettiamo nella fase iniziale del processo, che ora accoglie apporti da un’ampia gamma di attori; l’azione “perturbativa” continua durante la fase di lavorazione dell’idea che così si arricchisce, si articola e talvolta si organizza in filoni diversi. Così si abbattono barriere, si riutilizzano continue riserve, valorizzando l’interconnessione larga e il pensiero divergente e la serendipity diviene un apporto irrinunciabile.
SOCIAL INNOVATION PROCESS – L’open innovation model chiede modelli organizzativi diversi da quelli che conosciamo per poter esprimere tutta la sua forza. Nella social organization le persone in connessione fra loro, intorno a purpose condivise e con strumenti social, generano valore integrando competenze, idee, attitudini, motivazione. Se quindi l’open innovation è il grande concept dell’innovazione contemporanea, la social organization ne diviene il campo d’implementazione. La cellula “elementare” di questo campo è la community, che si configura come il luogo descritto da Johnsonda cui siamo partiti. Le esperienze di innovation community nelle aziende si stanno moltiplicando superando lo schema di prototipo e diventando sempre più strutturali. Persone di reparti diversi, con competenze e knowledge professionale vario e divergente si incontrano in piattaforme di conversazione per alimentare il ciclo di innovazione. Ma le community non sono solo un’esperienza interna, piuttosto un campo che accoglie contributi permanenti dell’intero ecosistema industriale (suppliers, employees, customers, ecc.).
Le tecnologie social&digital sono l’abilitante di base ma la sfida primaria è la concezione manageriale sottostante, che deve orientarsi a modelli di governo aperti, inclusivi, collaborativi. Processi, ma anche stili di leadership devono quindi essere ripensati se vogliamo che la social organization diventi il polmone d’innovazione di cui le aziende hanno oggi bisogno.
di Alessandro Donadio (nella foto)
Partner e social organization strategist hitrea. Esperto di cambiamento organizzativo si occupa di progettazione ed implementazione di esperienze di social collaboration e digital transformation, con un focus particolare agli impatti sui processi HR.