“Il Jobs Act va nella direzione giusta dell’introduzione di una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro italiano, assicurando nel contempo le necessarie tutele ai lavoratori in maniera inclusiva. Oggi, però, è il momento di cogliere le opportunità di una maggiore cooperazione tra operatori pubblici e privati, per l’inserimento nel mercato del lavoro di soggetti altrimenti esclusi. Ciò rappresenta la chiave, insieme a una riduzione delle tipologie contrattuali flessibili che valorizzi quelle “di qualità”, per rendere più competitiva l’economia, favorendo lo sviluppo di adeguate politiche attive per i lavoratori”.
Lo ha detto questa mattina Annemarie Muntz, Director Group Public Affairs Randstad, Presidente di Ciett, la confederazione internazionale delle Agenzie per il Lavoro, e di Eurociett, la confederazione europea delle Agenzie per il Lavoro, al convegno “Jobs Act e Flexicurity: le sfide del mercato del lavoro europeo e italiano”, che si è tenuto a Roma presso il Chiostro del Bramente, a cui hanno partecipato anche Pierangelo Albini, Direttore area Lavoro e Welfare Confindustria, Gianni Bocchieri, Direttore Generale istruzione, formazione e lavoro di Regione Lombardia, Michele Tiraboschi, Professore Università di Modena e Reggio Emilia e Coordinatore di ADAPT, e Claudio Treves, Segretario Generale CGIL NidiL.
In questa occasione, Annemarie Muntz ha presentato “Flexibility@work 2014”, la ricerca annuale realizzata da Randstad sulle tendenze internazionali sul lavoro flessibile e l’occupazione, dedicata in questa edizione alla lotta al lavoro nero. Lo studio dimostra come il lavoro flessibile adeguatamente regolamentato sia uno strumento di lotta all’economia sommersa. E i Paesi dove il lavoro nero è meno sviluppato sono i più competitivi sul fronte economico: quelli con minore incidenza di lavoro sommerso sono anche meglio posizionati nell’indice globale di competitività. In questi Paesi, da un lato è più facile per le imprese ricorrere alle opportunità di lavoro flessibile per soddisfare le proprie esigenze, dall’altro si ritrovano le politiche attive più efficaci per garantire l’occupabilità dei lavoratori.
Nella fotografia di “Flexibility@work 2014” l’Italia è uno dei Paesi in cui il mercato del lavoro è più fortemente regolamentato e dove però la dimensione del lavoro nero raggiunge una delle quote più alta nel mondo, pari al 21,1% del PIL (la superano, praticamente solo le economie emergenti). “Lo studio dimostra come una regolamentazione più favorevole e meno restrittiva verso le Agenzie per il Lavoro private riduce il lavoro nero – dice Annemarie Muntz –. Per combattere con successo il sommerso è necessario costruire un mercato del lavoro con adeguata protezione sociale per i gruppi più vulnerabili, costruendo nel contempo una regolamentazione efficace in materia di occupazione che assicuri l’adeguata flessibilità. Un sistema cioè che agevoli i lavoratori ad entrare nel mercato del lavoro regolare e che renda semplice per le imprese rivolgersi agli operatori privati per soddisfare le loro richieste di lavoro flessibile”.
“Il Jobs Act è un passo avanti importante verso la realizzazione della ‘flexicurity’; ora diventa altresì fondamentale cogliere l’opportunità della cooperazione tra operatori pubblici e privati, una nuova modalità per valorizzare la ‘flessibilità di qualità’ – afferma Rossella Fasola, Public Affairs Manager di Randstad Italia –. E’ necessario innanzitutto operare attraverso una semplificazione normativa: ridurre le tante tipologie contrattuali flessibili può abbattere la precarietà in favore delle forme di flessibilità non solo più sicura nei confronti dei lavoratori ma anche di qualità, cioè attraverso un’offerta di lavoro qualificata. È auspicabile anche la formulazione di una normativa autonoma per le Agenzie per il Lavoro: un testo unico di riferimento per i servizi offerti a lavoratori ed imprese”.