Politiche attive, programmi di ricollocazione, riduzione delle forme contrattuali di cattiva flessibilità, contratto a tempo indeterminato senza articolo 18: sono queste in sintesi le richieste delle aziende al Governo per sostenere la ripresa, che emergono dall’ultima rilevazione dell’Osservatorio Permanente sulla Riforma del Mercato del Lavoro, promosso da Gi Group Academy, fondazione di Gi Group, prima multinazionale italiana del lavoro.
Dalla survey, condotta nel periodo tra il 10 e il 15 settembre scorso su oltre 500 aziende sono emerse le seguenti evidenze:
DL POLETTI – Il Dl Poletti non sembra aver modificato in modo sostanziale le scelte di assunzione delle aziende. La maggior parte di esse (con medie che vanno oltre il 60%) ha dichiarato che non sono cambiati i contratti utilizzati per le scelte di assunzione, né cambieranno per il 2015. Unico effetto apprezzabile del Decreto è la sostituzione del contratto a tempo indeterminato (il 23% del campione lo ha diminuito, solo l’8% lo ha aumentato) con il tempo determinato e la continua erosione delle forme di cattiva flessibilità.
PRIORITÀ DEL GOVERNO – Secondo un’azienda su due (49,5% dei rispondenti), la principale priorità del Governo in tema di lavoro dovrebbe essere quella di aiutare le persone senza lavoro a trovarne un altro attraverso appositi programmi di ricollocazione professionale. Subito dopo,per il 46,6% dei rispondenti, il Governo dovrebbe introdurre forme di incentivo all’uscita dal mondo del lavoro degli over 60 per favorire l’ingresso dei giovani e per il 45,4% sarebbe necessario rendere più flessibile il contratto a tempo indeterminato.
ARTICOLO 18 – In materia di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, la maggior parte dei rispondenti (42,5%) ha dichiarato di preferire un contratto dove l’art.18 cessi di essere applicato del tutto, a fronte di un’indennità monetaria crescente da corrispondere al lavoratore e di un supporto alla ricollocazione professionale.Il 32,6 % non ritiene necessaria l’introduzione di un contratto a tutele crescenti laddove la minoranza (24,9%) ritiene che l’art.18 debba tornare ad essere applicato dopo i primi 3 anni dall’assunzione.
SEMPLIFICAZIONE – Più di otto aziende su dieci (l’87,4% del campione) ritengono che ci siano nel nostro Paese troppe forme contrattuali: i primi due contratti che le aziende eliminerebbero sono il contratto a progetto (48,4%) e le associazioni in partecipazione (45,3%).
POLITICHE ATTIVE – Per quanto riguarda la ripartizione delle risorse dello Stato tra le politiche del lavoro, l’86,0% delle aziende ritiene che i soldi pubblici dovrebbero essere indirizzati alle politiche di tipo attivo.
“Le recenti stime negative sul PIL e la discussione di questi giorni sulla Legge Delega sul mercato del lavoro – commenta Stefano Colli-Lanzi, AD di Gi Group – hanno prodotto uno scenario sostanzialmente di stallo; per ora, e non poteva essere altrimenti, gli effetti più immediati del DL Poletti sono stati la sostituzione, nelle scelte di assunzione, del tempo indeterminato con il tempo determinato unitamente a un’erosione continua del ricorso alle forme di cattiva flessibilità. Risultati che vengono confermati anche per tutto il 2015”.
“In questi giorni in parlamento – continua Colli-Lanzi – si sta discutendo del futuro assetto del mercato del lavoro. Le oltre 500 aziende che hanno partecipato alla nostra survey non hanno dubbi: vogliono un mercato del lavoro dove venga data precedenza alle politiche attive (come la Garanzia Giovani, ancora poco conosciuta da circa la metà del campione) senza aumentare il numero dei Centri per l’Impiego. Un mercato del lavoro semplificato nelle sue forme contrattuali, a partire dall’eliminazione di strumenti di flessibilità spuria come i contratti a progetto e le associazioni in partecipazione. Soprattutto chiedono un mercato del lavoro dove il contratto a tempo indeterminato, oggi nella sua configurazione attuale più debole che mai, possa essere sostituito con un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti dove la tutela del lavoratore sia costituita non tanto dall’art.18, ma da un supporto alla ricollocazione professionale, unico strumento davvero utile per reinserire le persone nel mercato del lavoro; un percorso, questo, che sembra essere stato intrapreso dal Governo. Ci auguriamo davvero che dal Parlamento possa uscire una riforma complessiva che tenga conto di queste indicazioni. Se così fosse l’Italia si doterebbe di un mercato del lavoro moderno, dove il contratto a tempo indeterminato potrebbe tornare al centro delle decisioni di assunzione delle aziende e dove al sistema delle agenzie del lavoro potrebbe venir demandata la gestione della flessibilità necessaria al sistema”.
Di seguito i dati di dettaglio della Survey.
Decreto Poletti – effetti nel 2014 e nel 2015 – Pur prevalendo una generale invarianza di utilizzo per tutti i contratti, tra le aziende che indicano di aver modificato il ricorso ai diversi contratti in seguito all’entrata in vigore del Decreto Poletti, emerge come quelli che sono stati aumentati da una quota maggiore di aziende sono i contratti a tempo determinato (19,6%), i tirocini formativi (17,1%) e i contratti di apprendistato (12,6%). Il contratto a tempo indeterminato è, invece, quello che una proporzione maggiore di aziende ha diminuito (23,1%).
Anche come previsione di utilizzo futuro dei contratti, da qui a fine 2014 e per il 2015, prevale una generale invariata. Tuttavia, tra chi ha dichiarato di prevedere un aumento di utilizzo, tra le misure in ingresso, si segnalano:
- i tirocini formativi (del 17,7% entro il 2014 e del 23,5% nel 2015)
- i contratti a tempo determinato (del 17,1% entro il 2014 e del 21,9% nel 2015)
- gli incentivi alle assunzioni di giovani 18-29 anni (Pacchetto Giovannini) (in aumento del 13,0% da qui a fine anno, del 18,3% per il 2015)
- i contratti di apprendistato (del 12,4% entro il 2014, mentre del 22,9% nel 2015).
Da segnalare, invece, tra le misure in uscita, la previsione da parte del 12,0% delle aziende rispondenti di aumentare il ricorso ai licenziamenti individuali per motivi economici organizzativi entro il 2014, proporzione che sale al 14,0% per il 2015. Tra i contratti che le aziende prevedono di ridurre, a prevalere, c’è sempre quello a tempo indeterminato, indicato dal 20,0% delle aziende in diminuzione entro il 2014, dal 19,6% delle aziende in diminuzione per il 2015.
Contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti e Statuto dei Lavoratori – In materia, il 42,5% dei rispondenti ha dichiarato di preferire, appunto, un contratto dove l’art.18 cessi di essere applicato anche dopo i 3 anni e dove al lavoratore licenziato venga corrisposta un’indennità monetaria e un supporto alla ricollocazione professionale. Da segnalare che il 32,6% delle imprese ha indicato, in realtà, che non pensa ci sia bisogno di un contratto a tutele crescenti, mentre il 24,9% predilige un contratto a tutele crescenti dove l’art.18 venga sospeso solo per i primi 3 anni dall’assunzione del lavoratore. Il 71,8% dei rispondenti ritiene, inoltre, che lo Statuto dei Lavoratori vada riscritto nel complesso per adeguarlo al mutato contesto storico-economico-sociale; il 17,9% pensa che vada modificato intervenendo solo in merito a mansioni, controllo a distanza e costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali, mentre per il 10,3% va bene così come è.
Apprendistato e Garanzia Giovani – In materia di apprendistato, considerato strumento di riferimento per l’inserimento dei giovani al lavoro anche per il nuovo Governo, il 45,8% delle aziende ritiene che per aumentare il ricorso a tale strumento sarebbe prioritario avere la possibilità di recedere dal contratto in caso in cui l’azienda, dopo un certo periodo (ad es. 1 anno) non riconosca il giovane apprendista capace di acquisire le competenze necessarie per ricoprire la posizione/svolgere il ruolo. Sul fronte Garanzia Giovani, più di quattro aziende su dieci (il 43,9%) non ritengono di poter esprimere un’opinione in quanto non sanno di cosa si tratti e il 64,5% di esse ha dichiarato che non sta utilizzando neppure una delle misure previste dal Piano Garanzia Giovani né ha intenzione di farlo, solo poco meno di una su tre lo farà nel 2015.
Per tutti coloro che sono interessati ad approfondire l’iniziativa: www.osservatoriolavoro.it.