In questi giorni è tornato in primo piano il confronto tra mercato del lavoro italiano e tedesco. In un momento così cruciale per le riforme, in qualità di prima multinazionale italiana del lavoro con un’importante presenza anche in Germania, Gi Group segnala i principali aspetti del mercato del lavoro tedesco che potrebbero essere adottati anche in Italia, a beneficio dell’efficienza generale del sistema.
1. Investimenti in politiche attive: nel 2011 Italia e Germania hanno speso in politiche del lavoro circa la stessa percentuale di PIL – 1,7% l’Italia e l’1,8% la Germania -, ma la grande differenza sta nell’allocazione di queste risorse: in Germania quasi la metà della spesa è stata destinata alle politiche attive (ad es orientamento/formazione, ricollocazione etc), in Italia, invece, ben l’80% della spesa complessiva ha riguardato le politiche passive (ammortizzatori, sussidi etc). A supporto dell’employability generale delle persone, cui il nostro Paese deve tendere, in Italia un ribilanciamento della spesa a favore delle politiche attive è fondamentale.
2. Governance: la presenza di un’unica Agenzia Nazionale per il Lavoro (Bundes Agentur fur Arbeit – BA) fa si che in Germania le leve di politica attiva e passiva vengano gestite da un unico soggetto, la BA per l’appunto, con gli immaginabili vantaggi in termini di chiarezza ed efficienza. In Italia la governance è, invece, sdoppiata: le politiche passive sono gestite centralmente, quelle attive in capo alle Regioni. Il risultato è una generale inefficienza del sistema. Prova ne è purtroppo, allo stato attuale, l’implementazione di Garanzia Giovani, una politica attiva per eccellenza che, tuttavia, non è ancora partita in modo sostanziale proprio a causa della frammentazione regionale. Solo la Regione Lombardia, purtroppo, ha dato vita ad un sistema di servizi al lavoro, che poggia sull’approccio competitivo pubblico – privato.
3. Sistema duale scuola-lavoro: l’apprendistato nel nostro Paese stenta a decollare. Gli ultimi dati Isfol parlano di 470.000 rapporti di lavoro in apprendistato nel 2012, in flessione del 4,6% rispetto all’anno precedente. Le cause sono da ricercare in un apprendistato professionalizzante ancora troppo rigido e costoso e in un’istruzione professionale considerata ancora come ripiego. Da questo punto di vista ha dimostrato di essere vincente il modello tedesco di formazione duale, dove vige una vera alternanza scuola-lavoro, una certificazione delle abilità acquisite e un accesso possibile anche all’istruzione universitaria.
4. Flessibilità in uscita: al di là dei dibattiti sull’Art.18, preme sottolineare le diverse tempistiche dei due sistemi: in Germania i termini per il ricorso da parte del lavoratore sono di sole tre settimane. Nel caso si tratti di licenziamenti non personali, ma motivati da ragioni aziendali, sono fissate anche le regole sulla liquidazione e i principi sociali da rispettare. I processi davanti al Tribunale del Lavoro sono molto rapidi: la sentenza del giudice, che può anche chiedere che il lavoratore venga reintegrato, viene emessa nell’arco di pochi mesi.
5. Formazione/Ricollocazione: il sistema del voucher, oggi confinato in Italia a poche regioni “illuminate” come la Lombardia (Dote Unica Lavoro), è prassi in Germania, dove i lavoratori disoccupati o che rischiano di perdere il posto di lavoro possono farne richiesta presso lo sportello locale della BA. Il voucher viene erogato solo dopo l’intervista con l’operatore responsabile dell’Agenzia del Lavoro durante la quale si valuta le probabilità di successo della riqualificazione, ai fini della reintegrazione nel mercato del lavoro e l’operatore privato viene pagato solo a risultato raggiunto, secondo la logica della premialità.
6. Flessibilità attraverso le agenzie: il sistema tedesco delle agenzie di fatto gestisce gran parte della flessibilità necessaria all’economia, garantendo sicurezza ai lavoratori e, al contempo, flessibilità alle aziende. Una modalità che minimizza i rischi di precarizzazione delle persone e che potrebbe essere applicata anche in Italia.
E’ evidente che già queste prime innovazioni aiuterebbero il nostro mercato del lavoro a ripartire e a creare occupazione.
Stefano Colli Lanzi, CEO di Gi Group