Puntuale come una cartella di Equitalia arriva l’ennesima “boutade” sull’articolo 18. E’ un appuntamento fisso, ormai, con il quale gli italiani da almeno 25 anni sono ammorbati. E’ il massimo che un leader politico della “Repubblica di mezzo” sa esprimere in termini di innovazione sulle regole del lavoro. Oltre, purtroppo, il suo pensiero non sa andare quando è chiamato ad esprimersi su un tema fondamentale per uno Stato come, appunto, il lavoro e l’occupazione. Francamente non se ne può più. Basta.
L’articolo 18 è già stato riformato dal Governo Monti e dalla Fornero. E’ stato rotto il tabù dell’obbligo di reintegra nel posto di lavoro in determinati casi (licenziamento per giustificato motivo) e previsto in sostituzione un indennizzo economico entro un certo tetto. Tutto questo è stato fatto con il voto della sinistra guidata da Bersani e con l’avallo della stessa Cgil che non si è stracciata le vesti per la fine dell’ultimo baluardo di una certa cultura politica e sindacale.
Non solo, quindi, non è più un argomento tabù, ma è folle pensare di far passare l’idea di un rapporto diretto tra la cancellazione dell’articolo 18 e la ripresa dell’occupazione e della crescita economica nel nostro Paese, come se esistesse un legame di causa ed effetto tra le due situazioni. E’ una balla colossale. Eppure Angelino Alfano, fautore della proposta né è convinto (si fa per dire) quando afferma: “Dobbiamo mettere davanti a tutto la necessità di dare un lavoro a chi non ce l’ha, liberando da ogni laccio l’imprenditore che vuole assumere. Se sblocchiamo l’idea che un’assunzione sia un matrimonio a vita, sono sicuro che il mondo delle imprese risponderà”.
Questo sillogismo non esiste in natura. Si tratta di una banale menzogna! Ogni intervento sulle regole del lavoro non crea nuova occupazione ma incide solo sulla qualità del rapporto di lavoro. In altre parole incide sulle condizioni contrattuali di chi lavora ma non è un incentivo alla creazione di nuova occupazione. Il lavoro lo crea solo la crescita e lo sviluppo e questo dipende dall’andamento del mercato e del fatturato di una azienda. Se ho il contratto di lavoro più bello del mondo ma la mia azienda non cresce com’è possibile assumere? E’ evidente a chiunque l’illogicità dell’idea di Alfano & Co.
Questa proposta alfaniana, che derubrico a battuta ferragostana, in realtà, più che ad una reale volontà di merito risponde ad esigenze di tattica e comunicazione politica. Il ragionamento è semplice. Il partitino guidato da Allfano è schiacciato all’angolo dal presenzialismo assolutizzante di Renzi tale da indurre nell’opinione pubblica il retropensiero di un Governo monocolore. Che fare per uscire dall’angolo? Come dal cilindro di un mago d’altri tempi ecco uscire la gallina dalla uova d’oro dalle teste pensanti del Nuovo Centro Destra: il sempre verde articolo 18! E’ un argomento sul quale si va sul sicuro. Diciamo di voler cancellare l’articolo 18, tutti i media parlano di noi guadagnandoci, così, i favori del ceto medio produttivo e delle aziende e coloro che lo difendono passano per conservatori fuori dal tempo. Questo, più o meno, quello che hanno pensato gli “innovatori” di centro-destra.
Alfano è l’ultimo in ordine di tempo ad affrontare i temi del lavoro in termini di propaganda. L’ha fatto anche Enrico Letta e lo hanno fatto altri prima di loro. Il lavoro è un tema sensibile e spesso le armi di chi ci governa sono spuntate e inadeguate per affrontare e sbloccare la crescita occupazionale dell’Italia. La via più semplice e corta, allora, rimane quella della propaganda e delle soluzioni minimaliste sbandierate come risolutive.
Il gioco, però, è alle sue battute finali e se non verranno affrontati presto i veri nodi di fondo che strangolano il lavoro e la crescita occupazionale la propaganda ci sommergerà tutti.